"Costruire" un'immagine è in ogni caso un atto che "trasforma". E anche la fotografia, come ogni altra espressione forte e significativa, esprime relazioni capaci di accompagnare momenti di evoluzione della storia umana: richiami ai linguaggi dello spirito o al più banale consumismo, narrativi ma anche di denuncia, in una logica che sembra talvolta privilegiare, nella molteplicità dei punti di vista, linguaggi destrutturati e frammentati.
Ogni immagine di Giovanni Padroni è, anzitutto, “incontro”, caratterizzato da coinvolgenti “letture”, “rappresentazioni” spesso non tradizionali od “informali”, “riletture… nel bisogno di calarsi sempre più profondamente in una realtà amata ma che suscita anche continue curiosità, desideri di appagamento spirituale, bisogno di assoluto. Gli piacerebbe raccontare ciò che i tecnici e gli specialisti talvolta non riescono a vedere: il miracolo delle cose, la loro intima essenza, rendendo visibile ciò che è nascosto, lo sguardo visionario come metafora della realtà.
Tra i segni e simboli “forti” sono per Padroni i sentimenti dell'Uomo, le sue voci ed i suoi spesso maggiormente eloquenti silenzi, la Natura che si esprime ora con l’acqua, ora con i fiori, le piante, il legno, la terra, le rocce… Segni e simboli che possono diventare “sogni”, in bilico con una realtà vagheggiata. E’ affascinato dalla possibilità di trasformare con la fotografia una cosa “banale” semplicemente “vedendola”, convinto che la Natura si esprima nel modo più semplice e che in ogni luogo possa celarsi l'elemento poetico. Afferma, riecheggiando Cartier Bresson, che la fotografia è fusione dell’emozione di un istante nella geometria.
E forse la fotografia riesce davvero, nell’attimo dello scatto che ferma il tempo, a realizzare il miracolo, così difficile nella quotidiana esistenza umana, di “vivere il presente”.
Padroni ama ripetere che vediamo la Natura, prima che con gli occhi, con il cuore. Così, per fotografare qualunque cosa, bisogna “amarla”; le immagini si materializzano, prima che per un processo chimico od elettronico, nel caleidoscopio delle emozioni e dei sentimenti. Perché, citando Kirkegaard, “l’attimo, in fondo, non è l’atomo del tempo, ma l’atomo dell’eternità; il suo primo tentativo di fermare il tempo”.
Come ogni manifestazione del pensiero la fotografia, vero e proprio esercizio filosofico e traccia sotto cui si cela un insopprimibile fondo di complessità, può essere linguaggio allegorico dello spirito, allontanandosi da mere denotazioni esplicative e riduttive.
Padroni concorda con Antoine de Saint Exupery quando afferma che non si deve imparare a scrivere ma a vedere: scrivere sarebbe soltanto una conseguenza. Il percorso che va dal vero all’immaginario può avvicinare alla suprema Bellezza di una Natura “letta” anche in particolari che ogni giorno ci incalzano, spesso senza incontrare la nostra frettolosa attenzione.
Jorge Luis Borges fa dire ad uno dei suoi personaggi che “per vedere una cosa bisogna capirla”. E Picasso afferma: non dipingo ciò che vedo. Dipingo ciò che so. La fotografia ed in generale le immagini sarebbero capaci di dar conto di nuove forme della conoscenza che vengono continuamente scoperte. L’apparecchio diventa un potente strumento d’esplorazione, aiutando ad aprire la strada alla ricerca. Scattare una fotografia rappresenta un mezzo per saperne di più su qualcuno e su qualcosa ma anche, e forse soprattutto, su se stesso.
La Natura, come tutte le Opere d'arte, incanta, affascina, coinvolge, caratterizzata da uno splendore che trascina. La forma, "figura", oppure "simbolo", si rende "visibile" per la bellezza che irradia. Il corporeo e lo spirituale coesistono, sono un'unica cosa. L’arte e la cultura, forze ideali cresciute sotto l’azione dello spirito, rappresentano valori indispensabili per lo sviluppo pieno della persona e delle civiltà.
Perché, come afferma il poeta romantico John Keats: “Bellezza è Verità, Verità è Bellezza”.

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